I sensi unici alternati e scanditi da semafori interminabili, danno l’idea della catastrofe che fu e di quanto sia difficoltoso ricostruire anche parti di strada dove la terra ha dimostrato tutta la sua furia. Dopo le curve, quasi arrivati sulla piana, uno sbalzo della strada oramai sistemato, da l’idea di quanto sia stato il distacco fra le faglie che, anche se in qualche modo sono state ripristinate con catrame e cemento, sul manto stradale, continuano ad evidenziare, disarmante l’immagine della violenza che la Terra abbia dato di se stessa, nel muoversi, in quei giorni d’inferno, di quasi tre anni fa.
Pian perduto si apre nel suo chiarore estivo dopo la salita e i disastri, che per un momento, non mostrano altre cicatrici a cambiarne il panorama.
Castelluccio è lassù a determinare un confine nitido tra i due altipiani, sembra intatta, immobile e sorniona.
Si arriva sulla piazzetta, c’è il mercato degli agricoltori, consegnatari di una identità culturale ruvida e forte, mansueta e coraggiosa. Le bancarelle espongono i frutti di questa terra. La lenticchia, la Roveja ed altri legumi, descritti con quella devozione rispettosa verso le fasi del tempo e per il lavoro che si dedica alla loro raccolta.