Le storie intrecciate di un poeta ed un pittore, abitanti nella stessa soffitta, e due donne, una Mimì la protagonista malata e docile, innamorata di Rodolfo il poeta e l’altra Musetta, una donna piena di vita e di vizi più o meno condivisibili, contestualizzano da diversi punti di vista i sogni e la ricerca di qualcosa che possa allargare il senso della vita, colmandola di gesti umani, non a caso immateriali e sublimi, propri dello stile appunto Bohemien degli artisti di soffitta nella Parigi dell’ottocento.
Una storia che racconta la vita e la sublima attraverso l’opera, lo stile di Puccini che con le sue musiche introduce uno stile che fu poi ripreso per le colonne sonore dei film, come ha sottolineato bene lo stesso direttore Serenelli.
Molto coinvolgente l’aspetto del racconto narrato ed interposto nei cambi scena alla fine di ogni atto, insieme al coinvolgimento del pubblico con i cantanti, tutti giovani e bravissimi che cantano scendendo a volte dal palco, segno palese che ogni espressione teatrale può essere di tutti. Inoltre, in un periodo dove la musica sembra non produrre più niente di interessante, l’anticonformismo e la professionalità con cui ho assistito a quest’opera mi ha avvicinato alla Lirica, per il taglio reso alle emozioni e la qualità anche delle musiche dell’orchestra del “Decimino Gigli”.
Usciti dal teatro Persiani, l’aria si era riscaldata, anche la “referina” era sparita, la piazza dove è centrale la statua di Leopardi, all’ombra della “torre antica”, sembrava luccicare, la gente nei bar, facevano da cornice ad un tranquillo ritorno a casa.