Devo ammettere che è qualche tempo che non faccio più un giro per il centro di Macerata e fino a poco tempo fa non sarei nemmeno voluto più tornare anche se si trova a meno di tre quarti d’ora di macchina da dove vivo.
Sono stato preso dallo sconforto che penso abbia attraversato parecchi maceratesi di provincia, che vedendola sempre così tranquilla come cittadina hanno pensato che non solo il terremoto ma anche “tutto il resto” doveva accanirsi in poco tempo.
In realtà la cronaca l’ha tragicamente resa nota in tutta Italia modificandone enormemente lo status di “paesotto di provincia”, spesso con alcuni amici ci si domandava perché fosse divenuta popolare solo “la casalinga di Voghera” e non altrettanto la “Vergara di Macerata”.
La cosa più estrema di Macerata stava nella comicità di Max Giusti con MC Silvano e la sua “Magerata violenda” che ogni volta che ne risento o ne rivedo spezzoni, mi piego dalle risate, anche se è stata profetica questa comicità per il capoluogo di Provincia.
Hanno ricordato la tremenda strage avvenuta tempo fa ancora irrisolta e io l’altro giorno, quando passeggiavo per il centro ho respirato quel sapore un po’ underground di una comunità che vorrebbe rinascere col proprio orgoglio e di un paese che nonostante questi contrasti, fra paura e passione, ancora vive in una distesa calma, spero non solo apparente.
Insomma, tragedie a parte, controllo dell’immigrazione di cui tralascio opinioni per evitare strumentalizzazioni, Macerata col suo sapore underground, o meglio “andergraunde” (in inglese maccheronico dialettale) contrasta col classico anche nello stile delle sue forme architettoniche, ma diviene intrigante agli occhi dei forestieri.
La crisi l’ha toccata a fondo, si vedono anche al centro locali, anche storici con su il cartello “vendesi” o “affittasi” e questo è abbastanza avvilente. Ma l’aria era pulita e ho visto sorrisi.
Macerata futurista, con le opere del maestro Ivo Pannaggi, Macerata cinquecentesca della storia di Padre Matteo Ricci il più grande missionario in Cina, Macerata di chi spara e chi ha paura, fascista-antifascista, democristiana, devota a Maria. Macerata dei contrasti andrebbe vissuta e analizzata a fondo perché molto più profonda di un accento dialettale.
Questa cittadina in fondo è un mix di bellezza, dentro ai suoi contrasti, sbattuta fra la politica inconcludente degli slogan e la voglia di fare tipica dei marchigiani ruvidi e solidi che vivono qui.
L’impressione underground ce l’hai imboccando la strada per il centro passando proprio dal sottopasso dei Cancelli come un contrasto di quelli potenti e strutture dei palazzi antichi e le geometrie impattanti del sottosuolo.
Da li capisci che non è più soltanto un paese ma diviene centro multiculturale, che sta aprendo le porte al mondo mentre fa il lavoro più difficile, quello di rimanere autentica nella sua identità.
Forse sta tutta qui la sfida di questa gente, che sa di stare sul filo di un’emancipazione confusa dalla globalizzazione e la consapevolezza che senza mantenere autenticità e tradizione si rischia di diventare nulli o al massimo rimanere solamente un capro espiatorio per l’Italia.
Ieri Macerata era così, tranquilla ed elegante. Aveva quel suo contrasto underground con tutti quei murales (ne ho contati davvero molti in giro tra il centro storico e la periferia) che sembra una “vergara con i tatuaggi”. Sacro e profano, classico e moderno.
Bianco e nero, nobile e plebea, elegante e grezza, le mie sensazioni a pelle.
Come i marchigiani quelli veri, a cui occorrono più di cinque minuti per farsi la prima impressione dove loro non sorridono ma ti guardano spesso diffidenti per poi però scoprire un grande altruismo.
Forse a volte anche troppo esagerato, ma sinonimo di persone dall’aspetto ruvido ma con il cuore buono.
In piazza l’orologio dei tempi al posto della lapide a Vittorio Emanuele II. La fattura è del 1571 dei maestri orologiai Giulio Lorenzo Maria e Ippolito Ranieri. Sotto la supervisione scientifica del museo Galileo di Firenze è stato di fatto ricostruito dal maestro orologiaio Alberto Gorla mentre le statue dell’edicola e del quadrante sono state realizzate da Opera Laboratori Fiorentini.
Un bel colpo d’occhio, e di certo un’attrattiva azzeccata per chi la visita.
Lo Sferisterio nato per l’antico gioco del Pallone col Bracciale ed oggi, grazie anche a quel muro eretto per il rimbalzo della palla, è uno dei teatri lirici con l’acustica migliore e, sicuramente fra i più grandi ed affascinanti d’Europa; ma per gli appassionati di teatro merita una visita anche il Lauro Rossi, di Piazza della Libertà.
Fra un paio di pizze e qualche pausa in questo mio pomeriggio lento, passo avanti al caffè Venanzetti, senza dubbio storico per questa città.
Mi stupisco della bella selezione di arte moderna nella galleria Ferretti, torno verso i cancelli e mi fermo poco prima, un piccolo locale con alcuni dischi in vinile in buon ordine su un contenitore, sicuramente un luogo vintage, aperto da pochissimo, al massimo una settimana.
Mi lascio ispirare dalla gentilezza del proprietario, mi consiglia un 33 giri di Candi Staton del 1980, un Rhythm and Blues un po’ funky.
Ecco quel suono li a casa mi ha ricordato questo pomeriggio di bei contrasti inaspettati.
Alcune foto fugaci del pomeriggio, spero che vi piacciano.