Mi piace il Presepio perché mi fa sporcare le mani nel costruire qualcosa di fantastico, che paradossalmente va al di la della religione. Mettere insieme quei pastori di coccio, spesso tramandati in famiglia, significa ricordare momenti unici. Un pezzo di storia mia e di tante altre famiglie di questa parte d’Italia vicina a San Francesco, disastrata da eventi naturali e catastrofi politiche. Mi piace mettere insieme quelle casette “sgarrupate” una affianco all’altra per un senso di rispetto verso la tradizione. La bellezza mostrata timidamente fra le cose semplici, la manualità che diviene esperienza creativa, armonia di paesaggi immutabili, luccichio negli occhi dei bambini.
Fare il Presepe va oltre l’essere cristiano, è un modo per me di ricercare me stesso, un viaggio continuo ad immaginare paesi quasi surreali che forse esistono solo nella fantasia. Quel che è certo però al di la di ogni “geografia” reale o fantastica è il racconto straordinario del viaggio di una famiglia umile, artigiani per eccellenza, che fanno accadere il miracolo appena fuori dal paese che li ignora. Anche per questo è bello il presepio, perché è il ricordo delle periferie di ogni angolo del mondo, quel Bambino “border line” nato fuori dalla bambagia del conformismo ci induce anche a capire tutte le periferie, soprattutto quelle dell’anima. Un messaggio di pace che non muore mai perché estremamente umile e coraggioso. Va oltre la fede religiosa anche per un bestemmiatore come me che a messa non ci va quasi mai. Ecco perché (secondo me che non sono un prete, un politico o un filosofo) raccontare il miracolo semplice di un uomo umile, come Gesù riesce a sommare pace, bellezza, armonia e, mi fa ricordare quanto sia importante fare le cose per dare un senso alla propria vita.
Penso ai versi di Trilussa, “…che lo fate a fa er presepe? Si poi ve odiate, si de st’amore nun capite gnente… pè st’amore so nato e poi so morto… ma la parola mia pare na voce sperduta ner deserto senza ascolto…!” Ne condivido ogni sillaba e sento un frivolo d’orgoglio, perché di peccati ne faccio a bizzeffe, ma l’invidia e l’odio non m’attaccano; per questo ringrazio Dio anche se troppo spesso impreco, perché di vizi ne posso contare una marea, ma questi due non me li ha dati.
Sopra ai tetti ci ho messo il campanile del paese mio quest’anno, perché simbolo di dove sono nato, gente che ha bisogno ritrovare la fiducia in se stessi, tornare ad essere comunità di persone semplici e per questo uniche al di fuori di stereotipi ed inutili imposizioni. Il Presepio emana quel senso di calore, un modo per riflettere con se stessi, un rinnovato senso artistico perché stimolo di riflessione silenziosa. Mi fa ricordare l’infanzia, quella che non ho mai abbandonato. Una piccola cosa che mi riempie di emozione.
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