Arrivare nelle terre di Dante Duri è una meraviglia per gli occhi. Certo ci sono ancora le ferite aperte del terremoto ben visibili, la ricostruzione lenta, la zona colpita è la più ampia d’Italia, ma la natura colma lo stesso questo assurdo con la sua bellezza superlativa. ll territorio è quello di San Severino Marche, quasi al confine con il comune di Serrapetrona, la frazione si chiama Colleluce, un nome che descrive a meraviglia l’enfasi visiva del luogo.
Sono andato a trovarlo qualche settimana fa, il tempo non era dei migliori, si stava mettendo aria di pioggia, ma la vista delle colline era comunque fantastica, quel verde intenso di fine primavera risultava brillante lo stesso, dietro ai vigneti, di fianco al suo casolare, tutto era ed è natura. Per prima mi viene incontro mamma Anna una Vergara, di quelle autentiche, lo specchio di un’identità agricola che dovrebbe essere patrimonio culturale italiano, il sorriso acceso, lo sguardo concreto, ruvido e genuino, lo zinale, il fazzoletto in testa e la “parannanza”, mi da il benvenuto mentre sale dal fianco esterno del casolare, probabilmente era li ad osservare qualche animale o verificare che sia tutto apposto, perché in campagna c’è sempre qualcosa da fare e lei, guardinga, lo sa bene.
Poco dopo scende Dante, e mi dice subito di seguirlo che vuol farmi vedere la cantina. E’ interrata. Un segno di rispetto per l’ambiente e un modo per far maturare meglio il vino. entriamo e subito a destra vedo un torchio in legno di quelli manuali con alcune parti smontate, . Gli chiedo se quel torchio stia li solo per bellezza, ma con sorpresa mi risponde di no. Lo usa a pieno regime per la vendemmia, poi mi sorride, gli rispondo con una battuta sul fatto che ora ho ancora più chiaro il significato del suo cognome e lui mi ripete, – Sai volevo fare delle magliette con la scritta “Duri a Vendemmiare”- ribatto – chissà che Bruce Willis non ne prenda spunto per un remake di “Die Hard”.-
Usciamo e andiamo a far due passi in vigna, lo seguo finché non ci fermiamo d’avanti ad una vite di Garofanata, ne sono rimaste poche in giro ma sono ottime perché insieme alla malvasia servivano per arricchire il bouquet del vino. Dante merita il racconto perché il suo vino è in stretta relazione con il lavoro nei campi del padre, cerca di migliorare la tecnica in cantina, dove ha una stanza per gli appassimenti, tuttavia il grosso del lavoro lo fa in vigna, seleziona e pulisce tutti i grappoli, poi vendemmia.
Il bianco è un misto di uve Garofanata, Malvasia e Trebbiano. Un agricoltore e vignaiolo Settempedano nella DOC di Serrapetrona e, per una scelta di tutela identitaria, ha voluto ricavare parte del suo vino da antichi filari (vigne di circa 60 anni) e che persegue l’idea, anticonformista per quella zona, di vinificare vini fermi usando per lo più uve di Vernaccia nera, rigorosamente selezionate a mano. Il suo lavoro verte principalmente sulla diffusione e conoscenza di questo vitigno inconfondibile nel bouquet di aromi e profumi, il livello minimale di solfiti ed il tasso alcolico sui 13° contribuisce alla sua gradevolezza complessiva. Gli aspetti organolettici li lascio agli esperti veri, il mio è un racconto di viaggio, fatto di rispetto per la terra, per gli uomini che la lavorano e per quello che riescono a tirarci fuori. Dante Duri attraverso i suoi vini, rinsalda continuità con la tradizione agricola.
Info: fattoriaduri.com
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[…] Purtroppo la vendemmia era finita ma scrissi lo stesso di lui e del suo lavoro perché davvero meritevole in questo articolo qui. […]