Un fil rouge anti identitario che attraversa il pianeta?
Le olimpiadi di un Paese che cerca di rincorrere il cosiddetto “primo Mondo”.
Come se il pianeta possa essere suddiviso in sottoinsiemi, per giunta, tutti uguali.
Nel 2009 dalle notizie dei giornali lo passavano come un sogno da raggiungere, oggi il Brasile, mentre gli italiani superano le 200 medaglie e i filippini diventano simpatici a tutti per i loro tuffi clamorosamente sbagliati, sta attraversando un periodo di crisi identitaria e politica molto forte. Da una parte la bellezza di Rio, rinnovata in gran parte per l’evento sportivo, e dall’altra una crisi politico-economica grandissima, dove chi alla fine ci rimette sono sempre le classi più povere. Da una parte gli sfarzi dei giochi olimpici, dall’altra le favelas povere e l’impeachment di Dilma Rousseff per cui il senato sembra aver votato a favore proprio in queste ore (notizia riportata qui dall’ANSA). Inoltre a febbraio per costruire il villaggio olimpico, è stata distrutta anche una casa della religione spirituale anche centro di integrazione degli afro-brasiliani dove opera Heloisa Helena Costa Berto, ma questo ovviamente, non ha fatto scalpore fra i media globali.
Uno stato di incertezza dopo una dominazione di oltre 13 anni del PT (Partito dei Lavoratori) che tuttavia sembra avere moltissime assonanze con il PD nostrano.
La polarizzazione della politica in queste Olimpiadi della globalizzazione, per cui ogni parte del mondo ha un suo centro destra e un suo centro sinistra che alla fine dicono e fanno le stesse cose e sembrano voler deviare il dibattito dalle esigenze reali della società.
Ma l’analisi delle congruenze politiche le lascio agli analisti della partitocrazia.
Quello che vorrei cercare di capire, o meglio, analizzare in queste righe è come mai, in ogni parte del mondo oggi ci sia questa voglia di generare incertezza. Il Brasile che fino a poco tempo fa non temeva attentati terroristici oggi si dice che rischiano, magari solo per via dei giochi, fatto sta che i media hanno iniziato la propaganda per la sicurezza, allora per logica viene da pensare che più i vari Paesi tentano di avvicinarsi al “modello economico globale” (utopicamente? mi chiedo a questo punto) più accadono cose che disegnano, limitazioni delle libertà e crisi sempre più forti nelle classi più deboli.
Più ci si avvicina all’occidente, più la popolazione diviene sofferente, si tendono ad appiattire le diversità fra i popoli a favore di una economia che porta ad essere incredibilmente tutti uguali; “dove non è riuscito il fascismo o i governi totalitari, sta riuscendo benissimo la civiltà dei consumi” – diceva Pasolini. In sostanza si sta tutti a cercare i Pokemon dietro qualche vicolo.
Si va tutti al supermarket dove troviamo i prodotti globali, perdendo clamorosamente le identità territoriali.
Chissà se i produttori del formaggio di Minas (Quejio de Minas descritto bene qui, guarda caso sul sito di “Terra Madre” ultimo baluardo reale della tutela delle identità) stanno risentendo di questa arrampicata, non priva di impeachment, verso il mondo occidentale. Chiaramente non sarebbe giusto paragonare il Brasile all’Italia soprattutto perché diversi i territori e gli spazi antropizzati perché diversi sono semplicemente differenti i territori. Per questo motivo però mi chiedo, come mai da un punto di vista sociale ci sono tutti questi aspetti comuni? Come mai sembra che nonostante non paragonabili i due Paesi dovrebbero avere esigenze similari? Saranno mica imposte queste esigenze? A dire che tutto il mondo è paese, si rischia di cadere nel qualunquismo ma altrimenti si stagna nel globalizzante, cosa è meglio fra le due opzioni?
Correre all’impazzata verso una guerra persa in partenza.
Verso la frenesia assoluta dell’essere conformi alla tendenza globale (ho scoperto casualmente che anche i Brasile oggi è divenuto di moda aprire birrerie artigianali) Una guerra costruita nell’illusione di amalgamare tutto in un unico contenitore dominante, dove non ci sono, perché semplicemente non permesse, non si sa da chi, non credo nemmeno più tanto al fatto che questo sia voluto dalle grandi organizzazioni finanziarie, anzi a rifletterci, forse tutto è voluto semplicemente dallo spettro cretino di una società ipocrita, che si batte per idee non proprie, e non sto a farne esempi, ma estremamente superficiale e menefreghista se non addirittura discriminante verso la tutela delle differenze identitarie fra popoli o regioni nei vari Paesi. Allora mi piace pensare che quell’acqua della piscina tuffi, che dicono sia diventata verde per un problema ai filtri, alla fine ci fa riflettere sul fatto che siamo tutti diversi e non solo alle olimpiadi.
Vorrei ringraziare per questo pezzo, la mia amica Camille Relvas che vive e insegna in Brasile. Anzi mi scuso già da ora con lei se non ho messo tutte le informazioni che mi ha dato.
5 Responses
I filippini ai tuffi grandi…risate apparte volevo dire che la chiesa spirituale degli afrobrasiliani è stata distrutta insieme alla libertà di scegliere. Non mi stupirei se arrivassero a dire che la democrazia costa e non possiamo più permettercela. Credo che abbiano già iniziato a propagabdarla questa logica illogica.
Si hai ragione soprattutto mi piace il fatto che con “propagandando questa logica illogica” hai centrato il punto in due minuti.
Beh il mondo sarebbe migliore se bandissero gli opportunismi…
È stato un piacere. Sei bravissimo! Mi è piaciuto molto il pezzo. Alla prossima!
Grazie milleeee 😉