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Favara "Farm Cultural Park" opera d'arte - azzeccatissima anti invidia, di Momò Calascibetta

Perché, secondo me, la “Farm Cultural Park” è il parco dell’invidia.
Al Farm Cultural Park di Favara hanno tolto i nastri da qualche giorno, ma la riflessione resta sul senso di vera diversità. Passeggiando per Favara questa sensazione l’ho provata forte e chiara. Ho avvertito l’idea colorata di far rivivere un centro che, altrimenti, sarebbe stato non certo fiorente.

La vicenda sui sigilli alla “fattoria culturale” l’ho appresa come la creazione di una vittima dell’invidia a chi spicca per intuito e creatività, altrimenti altre ragioni non si trovano per descrivere quei sigilli messi lì con tanta ignoranza. E’ da tempo che tengo in serbo questo pezzo, almeno 20 giorni, oggi dopo i fatti di Barcellona, ed il terremoto di Ischia, l’ho trovato molto attuale, quei nastri bianchi e rossi delimitano la zona di afflusso della gente in un caso, e li separa dalle macerie dall’altro, certamente tesi a contenere i rischi per le persone, ma di certo la preclusione degli spazi resta, così come lo stupro dei propri tenori di vita, il terreno fertile del terrorismo è l’ignoranza, non la conoscenza.

Ecco che in caso di attentato quei sigilli delimitano zone di sicurezza o di indagine, nei casi di disastri naturali delimitano le macerie, che nella mia regione Marche ancora stanno li, ma nel caso di Favara non ho smesso di chiedermi a cosa siano servite.

I nastri di plastica non possono fermare la conoscenza se questa poggia solida sul terreno della propria identità.

Abbiamo dormito presso il bed and breakfast “Casa Natia” e siamo stati davvero accolti in maniera spettacolare.

Quando ho appreso dei sigilli alla farm il primo sentimento che ho avuto è stato quello di incredulità di fronte a tanta stupidità. Non c’è più spazio per gli spunti creativi per quelli artistici. Abito in mezzo al cratere del terremoto che è pieno di stronzate burocratiche come quelle capitate al Comune di Favara , ormai ci siamo abituati; i giornali da noi non parlano di arsenali trovati in casa della gente come riportato in un giornale l’altro giorno, ma siamo pieni lo stesso di arsenali di rassegnazione, tanto che non facciamo nemmeno notizia.

Questa corsa all’omologazione assolda sempre soldati pronti a livellare l’assoluto standard di mediocrità della gente, riduce tutto ad un centro commerciale. Ho letto quella scritta “Fuck” ripetuta più volte alle pareti della farm, aggiungeteci “market” che manca.

Manca anche l’idea di richiamare nella farm contesti identitari propri della sicilia. Al B&B mi ha raccontato la proprietaria che suo marito agronomo sta impiantando nuovi campi di sementi autoctone e questo potrebbe essere un tassello da aggiungere al percorso di Favara, (che almeno lì è partito) questo potrebbe essere un collegamento diretto al museo della mandorla sito nel centro storico, richiamandolo all’interno della zona di riqualificazione urbana, oppure potrebbe essere l’estensione della stessa Farm fino al museo.

Tuttavia posso dire che questo aspetto di Favara è stato per me la risposta urlata per ampliare la dignità riconquistata di un centro storico che ha bisogno di interventi, in certi casi essenziali, perché fuori dalla “Farm” si vedono palazzi che oggi tra Lazio e Marche starebbero in zona rossa.

Mi ha commosso la storia raccontatami da Antonio Liotta sulla motivazione di Andrea Bartoli e sua moglie Florinda di dare un futuro possibile ai propri bambini senza rinunciare alle proprie radici.

Antonio Liotta l’ho conosciuto per caso, poco dopo la visita alla mostra di architettura giapponese esposta al museo, e posso dire che la sua figura mi ha subito ispirato un senso di grande umiltà nella passione di trasferire il senso di alta cultura per cui è nato questo quartiere magico di Favara, uomo di alto spessore culturale che però trasferisce con umiltà e onore al senso di ospitalità tipico dei Siciliani che danno lustro a tutta l’isola.

Allo stesso modo ho trovato la mostra sull’architettura giapponese molto interessante, ma la critico per l’esasperato uso degli spazi ristretti che sembra essere ricorrente nel futuro prossimo, ma la “farm” non ha bisogno di esempi su architetture che ottimizzino gli spazi, Favara io penso che abbia bisogno di questo parco culturale per contrastare lo spopolamento, quindi dovrebbe interpretare i motivi di ampliamento, trasformare in esempi di bellezza quel disuso che ha intorno, rinfrescandolo e abbellendolo.

La riqualificazione urbana di Favara dovrebbe essere modello per altri posti con i loro centri in stato di abbandono, spazi vuoti da riempire, tenendo a mente il collegamento col territorio.

Meno “food” e più “giacimenti gastronomici”, l’idea di “arancina meccanica” mi è parsa simpatica, semplice e geniale, un gioco di parole ben fatto che accosta globale e locale. Cercare i punti di unicità nella terra che ha la più elevata differenziazione agricola del mondo e difficoltà enormi a preservarla. Avere la consapevolezza che la cultura architettonica passi per il dialogo stretto con il territorio e che la comunicazione istituzionale siano di aiuto e non di ostacolo al divenire di maggiori e migliori spazi di rinnovamento.

Sotto certi aspetti “Farm Cultural Park” di Favara mi ha ricordato l’esperienza di Isaiah Zagar (di cui ho scritto qui) e del suo giardino magico a Philadelphia. Per Favara la sua “fattoria” è già molto di più perché ne è fulcro e riferimento per tutto il paese.

Per questa responsabilità che il parco porta con se, i nastri, facendo una battuta, li avrebbero dovuti mettere alle parole “buon food” che ho letto al posto di “buon mangiare” intraducibile nei fatti per inglesi o americani.

Il difetto che ho trovato io nella vostra “fattoria” se posso permettermi, è il poco spazio che avete dato proprio alla Fattoria stessa, al CIBO della SICILIA, all’AGNELLO pasquale, all’artigiano, all’agricoltore di giacimenti identitari, questo non vuol dire fare una cosa da Pro Loco ma connettersi in maniera specifica a quel luogo, che se poi andiamo a vedere dal latino il significato di “pro Loco” è proprio questo.

Nella versione italiana del sito la parola “buon food” non si può leggere, ecco allora a tal proposito, un punto di ripartenza per me sarebbe cambiare FUCK con FANCULO e FOOD con MANGIO SICILIANO, forse avreste più legacci di oggi, forse in tanti capirebbero la parolaccia esplicita, ma avreste di sicuro un mondo di unicità di cui parlare, come quell’opera intitolata “il gusto lungo di Messina” che è un capolavoro di arte contemporanea. Nella vostra “fattoria della cultura” sareste di certo più invidiati di oggi dalle burocrazie, avreste di sicuro ancora altra gente di poco valore contro di voi, ma sareste pronti a rafforzare quel baluardo di connessione tra identità e creatività che la “fattoria” dovrebbe essere.

Fate togliere quel velo di burocrazia alle vostre ali. Tuttavia, per me che sono uno dei tanti, “Cultural Farm” è stata un’esperienza entusiasmante.

L’opera d’arte che fa da copertina al pezzo si intitola ‘Cui Prodest’ ed è dell’artista MoMò Calascibetta. Info: artmomo.com

informazioni su tutto il ‘Farm cultural Park’: sito internet

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