Manca meno di un mese al cinquantesimo compleanno della denominazione di origine controllata del Verdicchio di Matelica e c’è solo un manifesto che campeggia sotto la torre civica.
In effetti l’associazione di produttori e gli enti coinvolti, sembra facciano di tutto per tenere nascosto l’evento. Mi chiedo come si possa essere attrattivi con un programma che non è uscito nemmeno su internet, che se hai una struttura ricettiva non puoi nemmeno preparare un pacchetto last minute per un weekend, hanno programmato la comunicazione dell’iniziativa, esiste uno straccio di timeline? Si trova qualcosa giusto sul sito del comune e ogni tanto arriva qualche notizia qua e la sui social, su qualche cena di viticoltori che la organizzano da soli e questo se autentico è lodevole.
Quello che è chiaro però, è che non esiste una strategia, tutto sembra sia frutto del caso, qualche fumosa iniziativa singola di propaganda, o polemica senza capo ne coda di qualche politico locale. Tutto questo francamente è inaccettabile e porta la gente a sentirsi ancor più presa per il culo, perché se il verdicchio è identità, questa va condivisa e non preclusa. Non è possibile sentirsi attorniati da questo senso di chiusura verso un argomento che dovrebbe, viceversa, essere comune a tutti, soprattutto dopo quello che è successo con il terremoto, che per fortuna ha toccato Matelica meno di altri centri.
Potrebbe essere il festival della rinascita ma resta difficile continuarlo a sperare cercando motivazioni di ausilio, sostegno e collaborazione attiva con i paesi più colpiti, (anche perché qui ci abito finché regge casa ecco perché ancora spero) invece, sembra il festival del “noi semo noi e voi nun sete un cazzo!” Lo slogan non esiste, o meglio pare il manifesto di uno che festeggia 50 anni, con gli amici che gli hanno messo il poster in piazza. Il fatto di festeggiare un compleanno di per se non è una notizia. Come fai a trovare spunti per parlarne? Il tempo che passa è un’ovvietà. Sarebbe molto diverso argomentare un traguardo, fatto di collaborazioni, rapporti di amicizia nel segno della qualità, anche con altre realtà, che in Italia aspettano solo l’intelligenza di un inizio dialogo anche istituzionale. Invece le risposte sembrano disinteressate a tal punto che, con questa spocchia, viene voglia di smettere addirittura di berlo il verdicchio, e allora si che il fallimento sarebbe totale e i soldi pubblici buttati.
Da matelicese sogno che questo possa divenire il festival della vicinanza con tutti quei luoghi ‘minori’ (perché comunque meno conosciuti) che sono rimasti senza niente, ma hanno ancora la solidità del saper fare eccellenze e lo spirito di collaborazione semplice tra persone, nonostante tutto. Mi sarebbe piaciuto vedere i produttori del Verdicchio essere primi sostenitori dei Sibillini colpiti, le loro genti i testimonial della resilienza con i loro prodotti per le vie del paese, qualcuno che ha potuto fra l’altro è già qui in paese. Allora si che diventerebbe, questo un must identitario, allora non servirebbero più i grandi vip, ma sarebbero gli stessi piccoli produttori di ciauscolo (meglio se senza igp), formaggi di sopravissana e altri prodotti colpiti a sentirsi ancora vivi, veri testimoni ed esempi di una rinascita di un intero territorio.
Invece l’impressione è quella della spocchia di chi sa come andare nel mondo senza, in realtà, accorgersi di niente. Snobbano tutto, fanno lo “street food” che ormai è trito e ritrito in tutte le sagre, invece di raccontare storie, creare percorsi dove il visitatore possa sentirsi parte di una storia che al tempo stesso è anche realtà di come si vive oggi tra queste valli.
Gli assaggi di verdicchio per una sera sola, ma che vuol dire? Che c’entra con l’identità territoriale, qual è il target di pubblico a cui è riferito l’evento? …i visitatori dei paraggi?
Sul programma addirittura si prendono a prestito altri eventi per arricchire il cartellone della festa, ma che è la minestra riscaldata? Che senso ha?
Quanto sarebbe più proficua una festa di scambi, inviti reciproci incontri sulla tutela della qualità enogastronomica? Quanta attenzione creerebbe l’idea di stringersi verso le eccellenze “sfollate”, amalgamando storie su come si riesce ancora, nonostante tutto ad essere coltivatori di eccellenze.
La vite che aiuta la vita, una stretta di amicizia con i prodotti dei monti sibillini, abbiamo Giorgio Calabrò a Matelica, uno dei migliori norcini d’italia, i suoi prodotti stanno nelle cucine dei grandi ristoranti, il financial times ha parlato di lui, e qui gli danno il contentino, il banchettino in piazza dove se vuole può fare gli assaggi, ma per favore!
Abbiamo esempi di resilienza identitaria a portata di mano e ci si affanna a chiamare i personaggi dello spettacolo, è la vittoria della plastica rispetto alla realtà semplice e straordinaria del coraggio di questi contadini, pastori, pasticceri e altri artigiani.
La comunicazione fatta al verdicchio in una versione sbiaditissima sulla falsa riga di un prodotto iper commerciale, quando dovrebbe essere il contrario esatto.
Circa 12 anni fa con Carlo Cambi scrivemmo un’idea di rassegna di vini bianchi italiani, un’idea di scambio e confronto fra le alte eccellenze italiane, la possibilità di affidare alla gente a chi il vino lo beve consapevolmente, di decidere quale fosse il miglior bianco d’Italia, il miglior “bianco dell’estate” votandolo fino al mare e, cercando di far partire così una spirale crescente di coinvolgimento con gran finale a Matelica. Niente si è realizzato, per la chiusura degli stessi produttori e altri politicanti ciechi, al grido della volontà di imporre loro stessi contro la paura della concorrenza a 2 euro dei discount, che gli stanno, oggi ome ieri, comunque sotto casa.
Non si riesce ancora a capire che tra produttori di qualità, è la squadra che vince e arriva anche il compratore se esiste una proposta intrisa di emozioni autentiche su questi paesaggi, mentre gli sgambetti, le invidie fra tanti singoli sono inutili, è la squadra vince, meglio se variegata di proposte, evidenziando differenze di valore, ma condividendo gli intenti. Magari è tardi per fare la squadra con i vini bianchi d’italia, ma c’è una montagna di prodotti gastronomici da abbinare e salvare, proprio qua attorno, allora perché non fare percorsi di un paio di giorni almeno (come si diceva con Giorgio l’altro giorno) proprio sui vicoli del paese quasi tutti agibili, affidando ad ognuno di essi un tema, una storia fra verdicchio e salumieri, pastori, apicoltori, pittori, musicisti e teatranti. Vie e racconti verso il futuro di una nuova coscienza identitaria. Questa sarebbe una notizia. Il racconto reale di quello che c’è dietro all’etichetta. Storie semplici su quello che siete e che siamo, apriamo le porte e facciamo aria, condividiamo la nostra identità e risolleviamoci rinnovando le tradizioni. Non svendiamo tutto agli avventori perché abbiamo la possibilità di tornare ad essere comunità, coscienti di quello che abbiamo.
E’ l’unica via per rinfrancare la società. Buon verdicchio a tutti.
8 Responses
Purtroppo autoreferenziali autoreferenziali autoreferenziali. Grande Marco! L’unica possibilità di far conoscere le ns eccellenze e creare finalmente a Matelica qualcosa di veramente identitario. Non c’è veramente l’intenzione di far conoscere ciò che può distinguerci da altri eventi. Nessuna fantasia nel proprio elitarismo che non porta a nulla
Hai proprio ragione, servirebbe essere meno autoreferenziali e più propositivi, invece… niente
Quanto hai ragione Marco. Perché non siamo capaci di entusiasmarci davanti alle nostre ricchezze alle nostre bellezze….il nostro territorio ci mette a disposizione l’occorrente per fare del turismo la nostra arma vincente ma manca la volontà da parte delle istituzioni… il lavoro del singolo pur se encomiabile porta a poco purtroppo. Posso solo condividere affinché arrivi perlomeno agli occhi di chi in queste cose ci crede.
Questo è già tanto. La cosa più schifosa se mi permetti è che al di la delle volontà il sistema attuale è talmente pieno di incapaci che nemmeno si accorgono che dentro qui esiste una proposta strutturata e completa. Sono refrattari perché non riescono a strutturare una proposta spendibile in Italia o all’estero, questo li porta ad essere il tappo di loro stessi!
Mi chiedi perché il like a questo articolo? Semplice, c’è “sapore” fra le righe e le parole, il sapore di una novità, che sembra scontata, ma che invece ha continuamente bisogno di essere riscoperta e raccontata.
Ma è la bellezza delle cose semplici che evidenziano gli aspetti unici che caratterizzano i territori. È tornare alla semplicità secondo me la chiave del successo, il resto è fumo!
P.s. questo modo di pensare lo devo anche a chi sai tu. Sei uno dei pochi Presidenti di un centro importante come quello agroalimentare che stimo sul serio! Grazie ti abbraccio Andrea!
Ma perche mi domando!!qui in America pure se c’hanno una pietra sopra un monte che non vale niente…la fanno diventare un monumento!!a Matelica c’e il Verdicchio: secondo me avrebbero dovuto fare una festa del Verdicchio ogni anno, con degustazioni, cibo locale e anke musica volendo!una festa di paese, per le comunita’ vicine e lontane…ancor di piu in questo periodo dopo il terremoto!ma io credo che certe menti e certe teste e’ dura da cambiare!ho visto le foto della festa dell’Infiorata a Castelraimondo: bellissime!hanno detto una delle edizioni con piu affluenza di gente. Hanno creato un evento x il quale la gente non vede l’ora di partecipare, un appuntamento ogni anno…Ma perche a Matelica so’ tutti capoccioni??
So duri e refrattari, che peccato. Però condivido ogni tua parola e grazie per essere passata a leggermi